Adesso che ho la febbre, provo ad aprire gli occhi, provo a guardare al
di là di questa cella illuminata dal neon, offuscata dalla condensa sul
parabrezza di questa mia vita che in qualche modo si trascina tra le vie di
questo paese, avaro di gioia e ricco di pioggia.
In quei pochi secondi in cui mi sono voltato ho ascoltato la velocità
dei tuoi movimenti mentre scendevi i gradini, quei piccoli rumori, come i passi
di un un paio di decolté su un pavimento di cristallo, poi ho avuto il coraggio di guardare il tuo
vestito color rosso sangue che avvolgeva la tua figura slanciata e proiettata
nell’universo.
Ho provato a cercare, ho indugiato, ho capito.
Io inchiodato ad un bicchiere non ho mai smesso neanche per un
secondo di fissarti. Sarà il mio costante stupore alcolico, sarà il fatto che
brindo al più sano e costruttivo nichilismo per liberarmi dalle torture e dalle
paranoie che la mia mente in modo ingenuo e geniale progetta e si costruisce in nome di un mondo migliore in cui far rinascere la mia anima.
C’è qualcosa di dolce nella sconfitta, qualcosa di morbido e seducente e
ora come ora so che la sua lama non può farmi male, intimamente male.L’orologio batte le ore, il fossato si allarga, non c’è un modo giusto per morire ma neanche uno giusto per vivere e questo nel mio personale mondo malato è una piccola felicità.