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22 dicembre 2008

Dimensione #22

erano meno di due ma lui ne contava tre, nelle passeggiate nelle note basse della notte, nello sferrare con le scarpe colpi mortali alle ultime foglie, cadute a novembre, ricordo dell'autunno presagio dell'inverno, le ultime foglie pensava, le ultime a morire le ultime a trascendere.
la città nuova lo affascinava tanto quanto lo impauriva, quel continuo illuminarsi di luci troppo belle e troppo elettriche, di luci dalle unghie con lo smalto nero così vive ma paradossalmente legate alla vita da cavi ventennali vecchi e stanchi.
Quella sera non c'era alcun rumore particolare che si staccava dal lieve mormorio del silenzio che emette una musa che dorme, nessuno aveva avuto voglia di uscire, nessuno aveva avuto fame
E i fiumi dell'intelletto correvano così forte, straripavano per poi arrivare alla foce a delta l'inizio del costruire a contrasto col l'inizio del inizio dell'incosciente il mare.

L'uragano di miele agitato e confuso ma anche calmo e composto sicuramente sconfinato.
Il paesaggio riempiva il quadro vuoto, la cornice era celeste il muro bianco.
Prima dell'incotro lei aveva braccie magre e maledette le stesse che avevano inchiodato tutti quei cardi alle pareti nella speranza di certezze.
Le stesse di cui si macchiò la madre le stesse per cui veniva accusata dei danni negli anni in cui si nuota a largo dove i piedi non toccano, dove per non affogare conviene fare il morto.
Ripeteva che quest'anno il freddo era così forte che avrebbe ucciso anche l'inverno.
Così diceva e così si ribellava a suo modo incrociando le labbra con lui, così rotte e così secche che il bacio apri la pelle
Ed erano meno di due ma entrambi ne contavano tre.
Poi l'occhio si apre e il sonno muore in un caldo abbraccio.

10 dicembre 2008

Virus di strada

a retromarcia e poi di nuovo a marcia avanti ma a cento all'ora, passo sui pensieri, saturi, lividi, esclusivi e loro tornano di nuovo lisci.
Ossigeno o azoto che importa penso, la necessità ha la faccia di una certezza stavolta, non inniettare materiale solido.
Lo sconcerto.
Una camera d'aria esplode quando viene immessa più aria di quanto ne possa sopportare una mente no, inversamente implode e diventa più piccola.
Nel quinto giorno dopo il crollo l'universo ha buchi neri trascurati narici ovattate dalla cocaina inspirata per cautela, per fare dei polmoni due sacche d'oro contro la recessione dell'umore.
Non è un fatto economico ma la fame colpisce i più bisognosi soprattuto alle caviglie.
Siamo in crisi le radiografie parlano chiaro, il giorno più lucido ha lo sfondo intonato con l'asfalto consumato da via vai interminabili, di riflessi persone strutture portanti e animali rari.
Gli stessi che giocano con i tuoi sogni gli stessi che giocano nei tuoi sogni pieni di sedie, atmosfere di una francia antica, di una francia lontana e di candele.
I fili mistici collegati dal verde che diventa petrolio che diventa militare, fili elettrici corde meccaniche nodi resistenti ognuno ha nel proprio tesoro una coscienza latente.
E girano le lancette e girano e ti mangiano il presente.

7 dicembre 2008

''Le ferrovie sarebbero fallite''

Una sigaretta presa in prestito e fumata a metà poi lentamente lasciata cadere in terra e premuta con forza, distrugge per un attimo nella mia testa il pensiero di essere io la sigaretta e la forza esterna il fumatore, mentre poi parlo con te e ti dico che ''io ho le mie favole e tu una storia tua''.
Poi osservo, il sesto senso è estraneo alla conoscenza e alla mia personalità, la progressione emotiva sui binari che non esistono verso il luogo più ambito, siamo nel tempo degli imperi caduti, siamo nel tempo preso a prestito dalla storia che più ci piace, siamo nel tempo perso, ritrovato e poi perso di nuovo, siamo carne e sogni, siamo vuoto e paura, siamo obbligati dalla vita, siamo gli obblighi che ha la vita.
Qui il freddo congela i campi e le case hanno le facciate tutte uguali quasi tutte del solito colore giallo, la musica spinge e io premo su di lei, speranza oltre quella porta, ''le ferrovie sarebbero fallite'' da urlare contro il nostro niente, che esterno invade l'interno e viceversa.

Storia #77

Versione numero quindinci asfaltare i ribelli sulla strada che porta al verde del seme nella neve, trascorsi indecenti, le puttane di praga si spogliano al passaggio del popolo deportato dalla città natale, le mille facce nelle fratture di un cubo, energia quella scava nel profondo quella che rompe il sereno e poi quel velo sempre più pesante e sempre più comodo, quello che da scudo diventa spada. Batte il cuore di piombo infiamma gli orecchi batte come battono i martelli sulle teste di chi muore, nessuno osava voltarsi ad ammirare quel tipo di rinascita, nascosti e sempre più volgari gli occhi di un giuda sempre più risorto e sempre meno solo.
I sorrisi goffi e fiammanti, il cibo come sigillo per gli stomaci in deficit di anfetamine strutturali, le luci si spegnevano al comando di generale poi di colpo si illuminava tutto di nuovo e non cambiava niente solo più fumo nell'aria.
La verità nei polpastrelli tagliati dal freddo e dalle corde, rivoluzione all'aborto rivoluzione non partorita, strade case palazzi cieli abiti e occhi sempre più freddi e pur fingevano di volersi bene
ancora nel legno scrivevano il nome ancora nelle unghie conservavano l'odore, e col suo sangue si lavavano le vene.
Per aromatizzare l'acqua.
Quanto dolore sospeso, quanto dolore inesploso.
Mentre scorre, scorre e brucia, nessuno.
Mentre vivere nel timore sembrava un opportunità, e non si trattava di paura e non si trattava di pietà ma di qualcosa di nuovo.
E loro bestie selvagge si divertivano a sbranare membra sociali ed io gemevo col loro
E io mi intossicavo con loro fino al colasso.
Fino agli occhi blu socchiusi e lontani dal mondo.
Dalla mia parte, disordinato dietro la linea ho pianto fino al risveglio.

4 dicembre 2008

Molecola

timido sole
sprazzi di frastuono
figli del rumore

in origine
all'origine
la vertigine nasce spontanea
tra le fasce di cotone
cullata da chi la ama

cielo indipendente
esterno alla nuvola di fosforo

cielo interno collegamento
esponenziale al crollo

come le torri gemelle
come se fossero sorelle
la notte e la luna

di un timido sole
da cui fioriesce calore
da cui al tramonto
si incendia il colore
e sbiadisce l'amore

1 dicembre 2008

Morirò si ma non di sete

Mille considerazioni e sono poco confuso e ancora mille dita a cui prendere le impronte, mentre scende la pioggia, mentre la pioggia si rompe quando si appoggia sui muri sulle strade su tutto l'ambiente circostante e poi diventa parte della terra.
Come se un liquido si fondesse col solido e formasse l'instabile.
Appariscente quindi come il reale certamente vero se non si vede, e so che si può capire solamente dal colore delle mani.
Perciò la mia acqua è come lei, timida e fragile, violenta e crudele.
Mille considerazioni mille punti di sospensione e ancora mille giovani speranze a cui sorridere e tendere la mano le stesse che uniscono gli occhi di chi parte con gli occhi di chi arriva, e corpo elettrico che asciuga in ogni sua forma il freddo che vive mostra la sua forza d'inverno una melodia da far venire i brividi sulla pelle di chi ama troppo amare da non poter rinunuciare al calore.
Mentre parole troppo simili a monete alzano la polvere e non illuminano il bianco e il nero destinati a sciogliersi in un bagno di caffè deliziato dal cristallo se non ricordo male è stato bello fare l'amore prima di lavorare.