Le altezze più pericolose allo sciogliersi dei miei rigidi
tetti, di amianto e pensieri turbolenti, sono vette temibili agli occhi, come
se non avessi mai provato a volare o a cadere dalle nuvole di ottone che questo
modo di vivere inquieto ed incerto offre.
Dona come
donna in calore si dona.
Dona cosa? Che
cosa? Cosa è rimasto degli azzurri cieli, di libertà ingenue e magnifiche, di
urla per calpestare quello che al cuore sembra ingiusto.
È il giorno dopo giorno, la giungla camaleontica della coscienza,
il selvaggio mietere tutto, cosa tollero e cosa non tollero, il perché volere
non è altro che mani imbrattate e fradicie di nicotina, la stessa che sublima
la mia diffidenza verso una vita che si costruisce col sudore e col sacrificio
seguendo progetti a lunga scadenza, progetti che mai furono più esasperati dal
buon senso.
Nell’inferno
dei popoli civili, il peggio dilaga e le fiamme avvampano di una luce che si fa
vermiglia col consumarsi dell’ossigeno, che l’osso per i miei cani bastonati
dai miei candidi battiti si faccia acciaio.
La mia sorda,
stolta, preghiera di fame.