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16 giugno 2013

Piccolo racconto notturno

Certa gente non dovrebbe esistere come come  non dovrebbero esistere le zanzare, troppo equilibrio e troppa tolleranza fa male all’umanità, me ne rendo conto quando cado nelle mie profondità agrodolci, certa gente è così inutile senza un cazzo di interessante da dire e da provare che non meriterebbe di sporcare il significato della parola vivere.
Eppure ci sono anche loro a rendere questo mondo sempre più caotico e volgare, sempre più ansimante e bisognoso di strapparti quel respiro di pura vita che hai, per trasformarlo in ordinaria e sonnambula morte vivente.
 
Leggere Henry Miller ha risvegliato in me una certa violenza vitale che ho sempre saputo di avere ma che non mi sono mai concesso a fondo.
 
Masturbavo questa ragazza orientale con la pistola del silicone e la minacciavo di spararle dentro il composto se non avesse acconsentito a tutta una serie di porcherie a cui l’avrei costretta. Lei era in pieno godimento, ci godeva un sacco a prendere quell’oggetto freddo e metallico su per la fica così  annuiva e gridava ‘’si’’ e mi implorava di non smettere con una forza così mascolina nelle reazioni delle gambe che mi impressionavo. Mi sembrava di lottare con due boa con le convulsioni, con due pitoni invincibili da addomesticare, con due grossi serpenti pronti a colpirmi in un qualsiasi momento.
E’ meraviglioso l’effetto che ha su di me il potere applicato al sesso, è stupefacente quanto sia così tanto eccitante avere una persona in balia dei tuoi capricci, delle tue perversioni.
Ad un certo punto mi sento diventare cattivo, le schiaffeggio una tetta e poi le stringo con forza un capezzolo, le sfilo l’utensile da dentro la vagina e la giro supina di forza.
Mi metto a leccarle il buco del culo, mentre con le ginocchia le allargo le gambe  con le mani le dilato le natiche, piccolo e roseo buco di meraviglia  fammi felice dico con voce rauca, poi mi tiro fuori il cazzo e l’appoggio con cura al suo ano umido della mia saliva e spingo, spingo senza fregarmi del dolore che può sentire, spingo quasi a violentarla mentre lei si dimena e inizia a mugolare di smettere lacrimando.
Così con la mano inizio a strapazzarle la fica, che via via si fa sempre più umida e spugnosa nelle mie mani.
Non ho un gran cazzo ma lo sento quasi strangolato nelle sue chiappe di Dea troia.
Dopo un po’  le mie cure sembrano iniziare a piacerle, inizia a dare cenni di godimento, accompagna sempre di più i miei colpi, il movimento si fa sempre più fluido, poi si alza a carponi usando le braccia e le mani e io la sbircio allo specchio che ho sull’armadio, sembra una vacca da monta con le tette che le penzolano in avanti e indietro ad ogni rintocco di cazzo, gli occhi chiusi e la bocca aperta e ansimante.
Mi dimeno, inizio a muovermi veloce, vorrei avere un cazzo di cinque o sei metri per schiantarla in due, vorrei arrivare  a chiavarle l’anima, fotterla nel cuore, farla sentire bambina, poi di nuovo grande, poi nuovamente bambina, farla sentire come la vedo, una meravigliosa cavalla di razza che sta cavalcando nelle praterie dell’Eden, una troia a cui è concessa la fonte dell’esistenza, una troia che sa amare di subire tutto quello che c’è da subire,  che sa strappare alla vita tutto quello che ha da offrire, che sa capire ed apprezzare in profondità cosa significhi essere dominata ed essere ubriaca di cazzo.
Sento che a quel ritmo non durerò molto così mi calmo un attimo, le  prendo il mento e  lo tiro su, arrivo a baciarla sulla bocca e sento un calore enorme dentro, che visione sublime una donna che mi bacia col mio cazzo in culo tutta inarcata all’indietro con i seni tesi dove eruttano capezzoli duri come marmo sopra l’altare delle mie mani. Un’animale a due teste congiunte, nudo crudo e vivo, fuso nella sodomia e nel piacere, mostro di energia.
Poi mi sveglio di soprassalto, accanto a me non c’è nessuna, nella notte non c’è stata nessuna, sono le nove di mattino e tra mezz’ora devo entrare a lavoro, faccio un sospiro, mi prendo il cazzo fra le mani e mi masturbo quasi a violentarmi mentre farnetico qualcosa che neanche capisco e vengo dovunque. Tutto si cancella, la stanza, la mia pena, il tuo viso, gli stronzi, il mondo, a me non  importa più di niente, non mi importa delle tonnellate di mediocrità che sono costretto a subire, non mi importa più dell’ora, sto venendo e sto venendo di gran gusto e fanculo a chi non lo capisce e poi rido di un sorriso così allegro e vivo, che mi sento un bambino a cui babbo natale ha portato tutti i giochi desiderati. E’ più di una sega, è un atto d’amore alla vita.
Chiamo a lavoro mi invento un malessere inesistente, avrei voluto dire ‘’ poveri coglioni e gregari state in quel posto di merda a marcire’’ ma purtroppo mi sono limitato a dare l’arrivederci all’indomani.
Oggi sono troppo vivo per lavorare, oggi è un buon giorno per vivere.

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